foto bolivia

Abbiamo chiesto a Stefania Cannalire, operatrice L’Arco, di raccontarci la sua esperienza di volontariato all’estero presso il circo sociale Performing Life a Cochabamba, in Bolivia. Ecco la sua storia.

Sono un’ educatrice, una “freccia” del nostro Arco, da circa un anno: ho lavorato presso il centro giovanile Pattini a Rotelle di Fiorenzuola e come educatrice individuale. Da queste esperienze ho portato a casa tanta voglia di sperimentare i diversi ruoli che un educatore può svolgere, senza precludermi più nulla a priori. Infatti mai avrei sospettato di divertirmi così tanto! Spinta da tutta questa energia positiva ho deciso, ad ottobre 2013, di fare un’ esperienza di volontariato presso il circo sociale Performing Life che si trova in Bolivia, città di Cochabamba.

Vi dirò: il gioco è la forma di apprendimento più efficace che abbia mai incontrato, soprattutto se sospinto dalla motivazione legata allo spettacolo finale in cui ogni bambino invisibile, come lo sono quelli di strada, può finalmente diventare visibile, e cominciare ad esistere anche per gli altri.
In breve tempo sono riuscita ad insegnare e trasmettere molto più di quello che mi aspettavo a ragazzi che di educazione non avevano mai sentito parlare. L’ inglese, la danza, la musica, la cultura generale, oltre a tutte le tecniche circensi, sono solo alcune delle possibilità di formazione che si aprono ai bambini della Fundación Enseñarte, frequentata spontaneamente e con grande entusiasmo.

L’ utilizzo del gioco del circo è un elemento versatile e di innovazione nel lavoro sociale: metafora della vita, affascina anche il soggetto più emarginato e lo coinvolge in un turbinio di risate che alla fine lo porta alla scoperta della gioia di vivere. La forte componente artistica che lo anima consente di riappropriarsi della propria identità e di farlo senza accorgersene come se fosse, appunto, un gioco; allo stesso tempo, la costanza che l’ esecuzione dei numeri richiede, insegna a perseverare per raggiungere i propri obiettivi con forza e determinazione. E al termine dello spettacolo ecco gli applausi di tutta la piazza! Quelle stesse persone che fino a poco prima fingevano di non vedere tutti quei bambini seduti all’ angolo della strada con la mano tesa, ora invece non riescono a staccarne gli occhi di dosso.

D’altra parte già Fröbel, più di un secolo fa, ci aveva spiegato come il gioco sia fondamentale affinché il bambino faccia esperienza della vita e delle relazioni che la compongono, attraversando gradualmente tutti i passaggi dello sviluppo fisico e cognitivo che il corpo affronta durante la crescita, in un processo di sperimentazione quasi scientifica dei propri limiti. Credo che il gioco del circo svolga la stessa funzione per bambini un po’ più grandi di quelli a cui si riferiva Fröbel, cioè da 0 a 6 anni, ma carenti di tutti quegli apprendimenti che una vita normale avrebbe fornito loro. E’ la scoperta progressiva del proprio corpo con le sue caratteristiche peculiari, della propria personalità nelle diverse sfaccettature che si esprimono durante interazioni sane e protette. Sotto il tendone del circo possiamo tranquillamente perderci a cercare, provare, cadere, rialzarci, fermarci, correre, possiamo costruire l’armatura necessaria per affrontare il mondo ma da protagonisti! Lo facciamo con il sorriso che fino a quel momento ci era stato negato.

Penso a tutte le applicazioni che questo straordinario metodo potrebbe avere nell’ambito del lavoro quotidiano svolto in campo educativo, in particolare rivolto a bambini difficili o che si colloca in contesti di emarginazione come campi rom o quartieri ghetto. E’ un lavoro duplice che si occupa di educare il soggetto e tramite questo il suo ambiente; gli fornisce infatti i mezzi per insegnare al contesto sociale in cui vive, prima di tutto, ad accorgersi di lui: a vederlo; e poi anche ad ascoltare quello che ha da dire.
Tutto questo può avvenire grazie alla magia di un naso rosso che riesce a trasformare paura e diffidenza in curiosità e stupore.

Non vogliamo re-inserirli [i bambini di strada], vogliamo anzi che la loro marginalità contribuisca ad arricchire il tessuto sociale, devono solo apprendere un linguaggio che gli permetta di farlo e il circo, come la danza, il teatro o altro, sono uno strumento che gli consente di relazionarsi con il mondo degli adulti con un’esperienza diversa. E alla società chiediamo di venire ed ascoltarli, percepirli in modo diverso da come hanno fatto finora.(…)Usiamo spesso il concetto di Resilience, sviluppato da Boris Cyrulnik, che si interroga su come usare le esperienze che lasci dietro per farti proiettare in avanti. Cirque du Monde.

Guarda le bellissime foto di Performing Bolivia

Nessun commento

Lascia un commento